I giovani in Italia e il lavoro che non c’è.
L’intento di ogni articolo cambia a seconda del contenuto. Può essere solo informazione, allora il dettaglio dei particolari è rilevante, oppure può trattarsi di analisi dei fatti, quando il giornalista cerca di interpretarli e suggerisce letture diverse.
Non ci sono problemi, esistono soluzioni.
E’ con questo animo che scrivo ogni articolo, prima informare, e poi cercare soluzioni.
L’argomento disoccupazione suscita disagio, i dati disastrosi come le nuvole minacciose prima del nubifragio.
Il tasso di disoccupazione degli under 25 tra i più alti d’Europa e oltre 2 milioni di giovani che non studiano e non lavorano generano aspettative nel piano “Garanzia giovani”.
Di questi solo la metà è iscritta al piano, ma c’è un problema di qualità, dato dal fatto che il 64% delle offerte fatte agli iscritti riguarda tirocini, e sono solo il 10% le proposte di un vero e proprio contratto di lavoro.
Nel caso dei tirocini attivati tramite ‘Garanzia giovani’ solo il 36% viene convertito in un contratto una volta concluso.
Il mercato del lavoro inoltre fatica a trovare i profili che cerca.
Allora occorre prendere atto che non basta incentivare le imprese ad assumere o promuovere tirocini a costo zero per aiutare questa generazione.
Da un lato c’è un sistema formativo che oggi sembra ben poco allineato con le esigenze dei moderni mercati del lavoro, dall’altro un sistema industriale che spesso predilige soggetti già formati e che non investe nel trasferimento di quelle competenze che sarebbero necessarie non solo ai giovani, ma all’impresa stessa. Il tutto si può riassumere in una estrema carenza di veri maestri, di persone appassionate che non considerano formare un giovane come una perdita di tempo, ma come un investimento e una occasione per innovarsi, aggiornarsi e stare al passo con la modernità.
Ed ecco le vie di uscita, la prima quella di una scuola che inserisca a pieno come valore fondante la formazione attiva di saperi trasversali, controllare e regolare meglio i tirocini affinché diventino un volano di sviluppo e non sfruttamento del lavoro, infine tendere alla valorizzazione delle competenze nei momenti critici di transizione occupazionale.
Non ci si può permettere di tradire le aspettative di un altra generazione.